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Si puniva.
Si puniva da sola.
Per quello che era.
Per quello che sarebbe potuta essere, invece non era diventata.
Per quello che era stata.
Per il futuro; perché sapeva che prima o poi ne avrebbe commesso un altro: un altro errore.
Non poteva fare altro, non lo avrebbe fatto nessun’altro, quindi toccava a lei: doveva punirsi.
Punirsi per tutto, perché lei non era stata forte.
Alla fine, un lungo respiro, aveva ceduto.
Non l’aveva vinto.
L’aveva presa, fatta sua: il dolore.
Tendeva le mani attorno a sé e lo sentiva, quel muro, il muro del dolore venirle addosso.
Stringerle il corpo e l’anima dentro.
L’aveva sempre fatto prima di quel giorno, aveva teso le braccia attorno a sé e l’aveva respinto, giusto il tempo di allontanarlo da sé e prendere fiato, prima di farlo ancora, prima di allargare di nuovo le braccia, tenderle e spingerlo via, di nuovo, ancora e ancora.
Stanca, alla fine, aveva ceduto.
L’aveva presa.
Dopo.
Dopo si era alzata, aveva lottato, ma solo dopo che lo aveva fatto: ceduto.
Aveva ceduto, eccola: la sua vergogna.
Tanta fatica buttata al vento, tante energie che non lo erano state: abbastanza.
Tanto coraggio che le era mancato.
Fino a quando aveva capito.
Il coraggio, quello vero, non lo si ha quando si lotta da soli, di nascosto dal mondo, celandogli la lotta, nascondendo tutto: fatica e dolore.
Il coraggio, quello vero, lo si ha quando con quell’ultimo filo di voce, si respira e lo si chiede: aiuto.
Chiedere aiuto non è un errore, non è “sbagliato”, è un atto di coraggio: riconoscere di non essere invincibili, di essere umani, chiedere aiuto e accettarlo, quell’aiuto; è questo il vero coraggio!
Il giostraio ti propone un brano da ascoltare dopo la lettura.
Tiziano ferro – L’olimpiade: