“Quanti anni avranno?”
“Undici, dodici?”
“Quell’uomo le sta guardando, non mi piace”.
Bionda, poco truccata, succo d’arancia in una mano, tovagliolino nell’altra.
Seduta al tavolino di un bar, si guarda attorno.
Con un occhio osserva il figlio, quattro anni, la bocca macchiata di cioccolato, per questo ha il tovagliolino in mano, pronta a pulirgli il sorriso.
Con l’altro occhio le vede, due bambine, due ragazzine, chiacchierano ridendo, una granita in mano.
Sono sole.
Il bar è vicino alla scuola, poterci andare da sole è il primo passo verso “l’essere grandi”.
La giornata è calda, il bar è vivo, persone che vanno e vengono, tante persone, è un posto sicuro, non sono veramente sole.
Eppure.
Eppure lui le ha viste, seduto due tavoli indietro, le chiama, inizia a fare domande.
Domande semplici.
«È buona la granita?»
«Fa caldo oggi eh?»
«State aspettando la mamma?»
«Ah, siete sole, dopo andrete a casa?»
Si alza, si siede nel tavolo più vicino al loro, continua a chiacchierare.
Lei non sente cosa dicono, ma un occhio al figlio, un occhio a loro, le controlla, le altre persone arrivano, consumano e vanno via.
«È pericoloso oggigiorno, io vado proprio nella vostra direzione, vi posso accompagnare; no, non accetto un rifiuto, lo faccio per voi».
Disagio.
«Va bene, non vi accompagnerò, se vi sentite sicure».
Lui si alza, lo vede cambiare di nuovo tavolino, sedersi in un altro, lontano.
Le vede sollevate, ridere e chiacchierare ad alta voce, tra loro.
Si alzano, pagano il conto, escono.
Si alza, paga il conto, esce.
Si alza anche lei, in fretta, suo figlio stretto per mano, paga il conto, esce.
Le vede, di nuovo a disagio, quel signore insiste, questa volta lo sente:«vi accompagno a casa, dai andiamo».
Loro ringraziano, ma no, non vogliono essere accompagnate, abitano vicino.
Lui insiste, appoggia la mano sulla spalla della più bassa e sorride.
Lei, interviene.
«Francesca, mamma mia come ti sei fatta grande, come sta la mamma?».
Le ragazzine la guardano, confuse.
L’uomo toglie la mano dalla spalla.
La più bassa capisce.
«Ciao! Beh, sono ancora la più bassa della classe, la mamma sta bene, grazie».
Disagio.
Questa volta è lui a disagio, non dice nulla, si volta, accelera il passo e in un attimo é lontano.
Lei si scusa.
«Scusate se ho ascoltato e sono intervenuta, ma quell’uomo proprio non mi piaceva, non sapevo come fare per farlo allontanare, mi è venuto spontaneo, la prossima volta chiedete aiuto».
«Grazie, ah già, mi chiamo Silvia, lei è Sara, la prossima volta staremo più attente, grazie davvero signora».
Non è sempre vero che “farsi i fatti propri” sia giusto, spesso è solo più semplice.
Intervenire quando si nota qualcosa che non va ci coinvolge nell’accaduto, spesso non si ha la voglia, si notano piccole richieste di aiuto, ma non si interviene.
L’aiuto, è importante, in certe situazioni è vitale, mai tirarsi indietro, mai guardare altrove per non farsi coinvolgere, un giorno, quell’aiuto, potrebbe servirci.
La vita è fatta di scambi, di “dare e avere”, mai restare indifferenti, un giorno potrebbe toccare a noi.
Silvia e Sara non hanno più visto quella signora, non sanno neppure il suo nome, oggi hanno 35 anni e la ricordano ancora, è il gesto più piccolo che alla fine non viene dimenticato.
Quella signora avrebbe potuto continuare a guardare il sorriso di suo figlio, il gelato al cioccolato che gli colava sulle mani, ovunque, godere di quel momento, intimo, perdersi nel sorriso dei suoi occhi, invece si è guardata attorno, non è rimasta indifferente.
Il giostraio, pur non essendo un grande intenditore di musica, né conoscitore della storia personale di ogni singolo artista, vi propone un brano da ascoltare dopo la lettura.
N.B. la canzone, come sempre, è stata cercata e scelta dopo aver scritto il giro di giostra e non viceversa.
Marco Mengoni – Esseri umani: