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L’uomo è legato alla natura, alla terra, agli animali e a tutto ciò che possa popolare questo stanco mondo, con un filo indissolubile.
Chi osservi il “mondo animale”, il “mondo vegetale” da lontano, furtivo, come se stesse osservando di nascosto uno spettacolo sprovvisto del biglietto, beh, si sbaglia.
Non si possono osservare questi mondi come se fossero scollegati da noi, siamo tutti legati e tutti dipendenti gli uni dagli altri, anche i più scontrosi, quelli che non amano condividere la propria vita, sono legati a noi, se i grandi ghiacciai si sciolgono dipende dall’inquinamento che l’evoluzione dell’essere umano ha iniziato a produrre, un equilibrio instabile dove questo legame indissolubile è l’unica certezza.
Siamo l’ecosistema che ci circonda, siamo parte di una grossa macchina, piena di ingranaggi che, nonostante i guasti, gli intoppi, gli imprevisti sgradevoli, ancora continua a girare ed essere ben oliata.
Seduta sulla sedia, la guarda con occhi traboccanti amore.
Le palpebre si muovono lente, sembrano seguire il sinuoso battere del cuore, prima era agitata, angosciata, forse addirittura spaventata e il suo cuore si lamentava battendo irregolare.
Ora è la pace, il respiro placido permette al cuore di farsi sentire, di coccolare quel corpo attraverso la sua musica: tum, tum, tum, tum.
Le macchine nel percorrere la strada davanti a casa sembrano essere influenzate da quella calma, dall’armonia che, dalla fessura della finestra socchiusa dai vetri lindi, brillanti, scivola via, le sente arrivare, rallentare dolcemente e proseguire la loro corsa veloce altrove.
Gli occhi ora chiusi, dentro di lei trova vita l’antico rumore, che poi rumore non è, è melodia rilassante, unica.
Non la definirebbe neanche melodia, ma abbraccio, un abbraccio caldo, non appiccicoso, caloroso, di quelli che solo la mamma e il papà sanno dare.
Lei la abbraccia, stretta, prima l’ha proprio spaventata, è entrata in casa come una furia, la chiave girata veloce nella serratura, un cigolio assordante; la maniglia piegata con forza e la porta spinta in avanti per essere risbattuta indietro, niente saluti, la corsa in bagno a lavarsi le mani, il volto, il correre ancor più veloce in camera, cambiarsi e non averla ancora salutata.
Lei ferma all’ingresso, neanche è riuscita a dirle “ciao”.
Non si è scomposta, spostata, ha continuato a respirare, ferma, all’ingresso, in attesa, mascherando l’agitazione.
Lei è uscita dalla camera avvolta in pantaloni attillati e maglietta larga, una sbavatura di matita nera vicino al bordo degli occhi, una bellezza naturale, semplice, l’ha guardata e sono subito arrivate: le scuse.
Come ha potuto entrare in casa senza salutare?
Come ha potuto farsi schiacciare dall’agitazione e dal nervosismo che sul lavoro regnano sovrane?
Come ha potuto dimenticarsi di scrollarle di dosso come fa con la polvere della città sotto le scarpe, abbandonata sullo zerbino?
L’ha guardata e le domande che tanto agitavano il suo cuore, le insicurezze, son scivolate via, perse, sotto la fessura della porta, verso l’asfalto della strada, uno sguardo e tutto si è sciolto, si è seduta sulla sedia del soggiorno, con lei, il tempo solo per loro.
Non è silenzio che vaga per la casa, è un suono unico, inconfondibile, sono le fusa di un gatto, melodia che cura, guarisce.
Pensa alla sua giornata, pensa all’affanno su cui ha costruito il suo quotidiano, la guarda, le è seduta sulle gambe, serena, abbandonata: è naturale.
Sotto le mani sente il vibrare e il morbido del pelo, sente il cuore battere col suo, annusa il momento, annusa il messaggio che ogni giorno le fa amare di più il mondo:
<<puoi fingere che non sia necessario, puoi fingere che tutto quello che di materiale ottieni sia ciò di cui davvero hai bisogno, puoi fingere, ma tanto lo sai, senza la natura, senza la sua vita silenziosa che ti scorre accanto, non saresti altro che vuoto.
Ti svegli, la mattina apri le finestre e vedi la luce del sole, non ci pensi, ma lui è lì, è lui che permette che su questa terra ci sia la vita.
Tu invece lo guardi indifferente, quasi fosse la lampadina dello stanzino usato come ripostiglio, il tuo ripostiglio.
Per fortuna c’è lei, lei che con morbide fusa ti ricorda che la tua vita è esattamente come la sua, frutto della natura, che siamo tutti parte di questo mondo, nessuno escluso>>.
Possiamo fingere che, una volta chiusa la porta di casa, il nostro universo siano solo quattro mura, possiamo fingere che l’elettricità che usiamo non inquini, possiamo fingere che le nostre azioni non influenzino l’ecosistema, ma è falso.
Le nostre case, le nostre vite, per quanto diventate asettiche, cemento che nasconde la terra, su questa terra poggiano e questa terra influenzano.
Siamo tutti legati, non ci pensiamo, ma siamo tutti ingranaggi, piccole parti del grosso ecosistema chiamato pianeta terra.
Il giostraio ti propone un brano da ascoltare dopo la lettura.
Pierangelo Bertoli – Eppure Soffia: