Era speranza innocente.
Sognante.
Brillavano gli occhi mentre con orgoglio diceva di essersi iscritta all’Università, forte della sua età, del tempo, il tempo era tutto dalla sua parte, diciannove anni, il mondo ai suoi piedi.
Una vita tutta da sfogliare, in questo nuovo capitolo, il liceo concluso, esperienze legate con un nastro verde al cuore, tutte, l’avevano formata e fatta arrivare fin lì.
Fino a quel momento.
Il momento in cui, una donna, una Dottoressa, una docente, aveva strappato la sua innocente speranza e ne aveva lasciato pezzi di amarezza, vergogna.
“Ascoltami, tu non concluderai mai nulla nella vita, chi non si può permettere di studiare deve andare a lavorare in fabbrica o a fare le pulizie, non perdere tempo, ascolta me, fidati, qui dentro, in Università, non concluderai mai nulla, non arriverai mai alla Laurea, sarai sempre nessuno”.
Quella stessa persona, rivolta altrove, ai suoi succubi assistenti aveva continuato: “io non capisco perché chi non ha i soldi si ostini a voler studiare”.
La guardò di nuovo, le lanciò un diciotto addosso, le urlò davanti a tutta l’aula: “non si faccia più vedere, sparisca”.
Ma lei non poteva sparire, in quel momento l’avrebbe voluto, gli occhi degli altri addosso, l’umiliazione, erano graffi, graffi che, illuminati dal calore del sole, bruciano ancora, graffi che non guariscono del tutto, restano lì, ogni tanto sanguinano, ricordando la loro esistenza.
Aprì la bocca e glielo disse: “mi scusi, mi dovrà vedere ancora una volta, ho ancora un’esame da dare con lei”.
La voce era ferma, gli occhi tradivano la sua calma apparente, ma non poteva fare altro, era in una bolla di dolore davanti a centoventi persone, mute, zitte; sopportali tu i graffi di tutti quegli occhi addosso, provaci e fammi sapere.
La grande studiosa, la Dottoressa, docente, le rispose ringhiando: “bene, si prepari, per farle superare quell’esame le farò patire le pene dell’inferno”.
Lei l’inferno l’aveva già dentro, macchiata dalla colpa di essere una “non frequentante” in una Università senza obbligo di frequenza, la legge è uguale per tutti, le regole dell’Università no.
Lei lavorava.
Lei non poteva permettersi un’appartamento nella grande città universitaria, lei viveva in provincia, un’ora di treno per andare a sostenere un esame, un’ora di treno più mezz’ora di tram, per arrivare in Università e farsi insultare.
Studiava giurisprudenza e quel giorno capì che per quanta legge avesse studiato, lei, lì, in quell’ambiente universitario, sola, senza conoscenze, senza amici, non avrebbe mai avuto diritti.
Questo è il Paese di grandi italiani, ma è anche il Paese nel quale, sotto al velo dell’ipocrisia, la possibilità di alzare il capo e gridare a gran voce un supruso, s’è persa.
Prese quel diciotto amaro.
Si chiuse la porta dell’aula alle spalle.
Gli occhi, gli sguardi, muti, ancora a graffiarle la pelle.
Salì le scale, entrò in bagno, confusa, persa, il cuore che piageva nel petto.
La gola stretta, un’urlo soffocato, una fitta.
Chiuse la porta, fissò il water, lì, pianse.
Singhiozzi, il pianto si fece singhiozzi, soffocò la sua vergogna tirando l’acqua del water perché non si sentisse il dolore.
La sua colpa?
Aver alzato il capo, aveva studiato, tutto il libro, era preparata, sapeva di esserlo, si era seduta, aveva specificato di essere “non frequentante”, perché, anche se non c’è l’obbligo di frequenza, chi frequenta è avvantaggiato, chi frequenta fa gli esoneri.
Cos’è un esonero?
È il programma di un esame diviso, in uno o più test, così all’appello dell’esame non si portano tutte le pagine del libro, magari 800 pagine, ma solo 300.
Ed è più facile, molto più facile, ma è la regola dell’Università, chi segue è premiato con gli esoneri, poco importa che qualcuno non possa permetterselo!
La docente le aveva fatto una prima domanda a cui lei aveva risposto, sicura.
La seconda domanda?
Non c’era nel libro, l’argomento non c’era nel libro, era stato trattato a lezione, alcuni docenti lo fanno, così sei obbligato a seguire, altrimenti, se nessuno seguisse, come potrebbero percepire stipendi così corposi?
Lei gliel’aveva detto, alla docente, alla Dottoressa: “mi scusi, ma io non sono frequentante e sul libro questo argomento non è trattato”.
Ecco, un’altra cosa aveva imparato.
Studiare legge, capire i propri diritti, affidarsi alle regole, non sempre serve.
La regola dell’Università è solo una.
Davanti al potere, alzare il velo dell’ipocrisia, nascondersi sotto, stare zitti, dare sempre ragione e chinare il capo.
Le regole, i diritti, non valgono, loro sono i Dottori, loro hanno il potere e davanti al potere, ora gliel’avevano dimostrato tutti, si tace.
Così avevano taciuto gli assistenti.
Così avevano taciuto gli altri studenti.
Fiera della sua vergogna uscì dal bagno, si lavò le mani, gli occhi rossi bagnati, mostrarono tutto, era cambiata.
Ma no, non era ancora stata piegata, un giorno l’avrebbe urlato in faccia, a tutti, un giorno l’avrebbe ringhiato, raccontato, un giorno avrebbe ancora sperato che tutto questo cambiasse, grazie anche al suo racconto.
Oggi no, domani avrebbe preso il libro per il prossimo esame, quello per superare il quale avrebbe dovuto “patire le pene dell’inferno”.
Le patì.
Mentre studiava le patì.
Andò all’appello.
Passò da uno dei suoi succubi assistenti.
Nessuno si ricordò di lei.
Perché così accade, i soprusi sono all’ordine del giorno, si dimentica in fretta.
A quell’esame volete sapere quanto prese?
28.
Dopo il 28 non gioì, pianse, pianse la sua vergogna, tornando in quell’aula, studiando, tacendo, si era macchiata di una colpa più grande, aveva rinnegato se stessa, i suoi ideali.
Forse, col tempo, si perdonerà, ma oggi no, non l’ha ancora fatto.
Eppure oggi, finalmente, l’ha raccontato, ma non basta, non è abbastanza, la colpa l’ha tutta ancora dipinta sul volto.
Qualcosa però quella Dottoressa, docente, non aveva distrutto, tra i graffi, tra quelle cicatrici, c’era ancora, era viva, la speranza era viva, nascosta, debole, flebile, castigata, umiliata, ma viva.
Poco dopo dovette abbandonare gli studi, ma fu solo un arrivederci; poi li riprese e giunse a vedere la fine, a poter scorgere il giorno della sua Laurea.
Come fu il suo percorso fino alla Laurea?
Questa è un’altra storia.
***
Questo giro di giostra è stato più lungo del solito, perché non è inventato.
Tutto ciò è davvero accaduto, al giostraio, sì, al giostraio di questa piccola giostra.
Il 18 luglio il giostraio si è laureato, beh, ironico non trovate?
Fu un diciotto lanciatogli addosso ad umiliarlo quel giorno e questo primo capitolo di studi si è concluso sempre con un diciotto, ma questa volta scritto sul calendario.
Un diciotto sul calendario e i complimenti della commissione della seduta di Laurea.
Le Università, fortunatamente, non sono tutte uguali, la differenza la fanno le singole persone.
Una cosa è certa, a certi docenti, certi grandi professori, Dottori, bisognerebbe dare ripetizioni di rispetto.
L’educazione, ditemi voi, quando è accaduto, quando è diventata così “fuori moda”?
Educazione e professionalità, basta che manchi ad uno dei grandi Professori e la reputazione dell’Università sarà macchiata.
Questo è un giro di giostra intimo, personale, quindi, anche la canzone scelta sarà personale.
Forse ancor più del giro di giostra stesso.
Vi farò ascoltare la canzone che, dopo aver ripreso gli studi, ho ascoltato, andando in Università, prima di sostenere ogni esame, quasi fosse un rito, una scaramanzia, parole in grado di darmi “la giusta forza, tenacia”.
Buon ascolto.
Ofelia Neri, staffetta partigiana – LoGiCi Zen: