Vibra.
Il bus percorre le strade della città.
Trema, le strade sono piene di buche.
Mangia chilometri, metri, consuma benzina.
Il sole picchia sulla lamiera.
Fa caldo, dentro fa sempre più caldo, l’aria condizionata è rotta, i finestrini sono aperti, tirati giù, lasciano uscire fuori il calore, ma l’aria, la sua brezza, non fa in tempo ad entrare, troppo calore prodotto, troppi respiri, troppi corpi appoggiati l’uno sull’altro.
Troppe mani sudate si reggono alle maniglie dondolanti.
Lì, nel mezzo, in bilico sui gradini vicini alle porte posteriori, c’è lei.
Fa la prima superiore, ha una cartella blu e nera, la voleva rossa, ma era arrivata prima la sua amica, così l’aveva presa blu, mica poteva prenderla come la sua, mica poteva farle credere che la volesse imitare, copiare, anche se era lei che la voleva rossa, ma si era rassegnata e l’aveva presa blu, solo dopo aveva scoperto che un’altra sua amica l’aveva scelta blu, ma ormai l’aveva comprata.
La teneva sul davanti, non appoggiata alla schiena, ma aderente alla pancia, così la poteva controllare, così poteva guardare bene tutte le cerniere, aveva il portafogli nella tasca superiore, dieci euro dentro più l’abbonamento, non poteva mica farselo rubare così, sul bus, era stata messa in guardia: “fai attenzione, nei luoghi affollati ci sono i borseggiatori”.
Si guarda attorno, é bassa, vede solo tante spalle, tante braccia, tante schiene, stringe la sua cartella e pensa al compito di matematica della seconda ora, “speriamo in bene, almeno questa volta”.
Sente qualcosa, preme sulla schiena, il bus frena.
Persone salgono, altre scendono.
Si gira, tutto nella norma, non ci sono borseggiatori, non vede avide mani pronte a rubare; sul bus è normale sfiorarsi, appoggiarsi agli altri in maniera accidentale, il bus vibra, strattona, non è sempre semplice mantenere l’equilibrio.
La sente di nuovo, una pressione alla schiena.
Stringe la cartella, con l’altra mano stringe il metallo, anche lui caldo, appiccicoso, stringe la barra di metallo per non cadere.
La sente di nuovo, la pressione, non è più sulla schiena, è sul sedere, si gira.
Un signore muove il braccio, afferra il tubo di ferro, “avrà perso l’equilibrio, l’autista oggi continua a strattonare, il traffico è lento”.
La sente di nuovo, la stessa pressione, sul sedere, una pressione che sembra più un dondolio.
“Il traffico oggi è insopportabile, sembra singhiozzare”.
Non è più così tranquilla, qualcosa la infastidisce.
Si gira, osserva quel signore, alto, alle sue spalle, una mano stretta salda, l’altra in tasca.
Non le piace, quel signore proprio non le piace, vorrebbe spostarsi, ma fa caldo, ci sono troppe schiene, troppe persone ammassate, sudate, non c’è altro spazio se non quel piccolo angolino, mancano solo cinque fermate.
“Però il traffico è lento”.
Di nuovo, la stessa pressione, fatica a mantenere il suo posto, l’equilibrio, col suo corpo si oppone, fa resistenza a quella pressione.
Si gira, infastidita, alza lo sguardo, il signore le sorride, le chiede scusa, le dice che oggi è proprio sbadato, oggi non riesce a mantenere l’equilibrio, oggi dondola sempre in avanti, “spero di non darti fastidio”.
Va bene, è normale, sul bus l’equilibrio è sempre precario, capita a tutti di perderlo, l’equilibrio, di dondolare.
Non vuole essere scortese, quello è solo un signore gentile, si è pure scusato, allora perché si sente così infastidita?
Perché vorrebbe solo scostarsi, allontanarsi?
Meglio pensare al compito di matematica della seconda ora, sarà quello, sarà per quello che si sente così nervosa, così agitata, questa volta deve arrivare alla sufficienza, è nervosa per questo, sì, lo pensa davvero.
Non sente più la pressione, il traffico si muove più veloce.
Ora lo percepisce, un fruscio alle spalle.
Osserva la mano dell’uomo, dentro la tasca dei pantaloni, non si sente tranquilla.
“Ma cosa mi prende?”.
“Mi sto agitando per niente”.
L’uomo muove la mano, la spinge più giù, nella tasca.
Lei, confusa, lo guarda.
Lui, tranquillo, le sorride.
Le porte si aprono.
Lei scende.
Lui sorride.
“Stava solo cercando le chiavi di casa o dell’ufficio, sì, stava solo cercando un mazzo di chiavi”, se ne convince.
Per un attimo, un brevissimo attimo, le percorre la mente un altro pensiero: “E se mi fossi sbagliata?”.
Le avevano detto di fare attenzione ai borseggiatori.
Le avevano detto di essere sempre educata con le persone gentili.
Lei l’aveva fatto, era stata attenta ai borseggiatori, era stata educata con quel gentile signore, pensare che stesse facendo qualcosa di male sarebbe stato scortese.
Non aveva ancora visto un borseggiatore, aveva però incontrato quel signore, anche a lui avrebbe dovuto fare attenzione, ma non lo sapeva, ancora non lo sapeva.
Si avviò verso la scuola, passo dopo passo, cercò di convincersi: era solo un gentile signore.
L’istinto, le nostre sensazioni, chiedono di essere ascoltate, accolte, imparare a farlo, ascoltarle, è vitale, lei forse lo farà, ma non oggi, la prossima volta, forse.
Il giostraio, pur non essendo un grande intenditore di musica, né conoscitore della storia personale di ogni singolo artista, vi propone un brano da ascoltare dopo la lettura.
N.B. la canzone, come sempre, è stata cercata e scelta dopo aver scritto il giro di giostra e non viceversa.
Ligabue – Piccola stella senza cielo: