Mi guardo nello specchio, non mi riconosco, no, non è vero, mi riconosco, sono quella che da qualche tempo si affaccia oltre questo lavandino e cerca un’altra immagine riflessa, un’immagine che non è più e non tornerà.
L’acqua è fresca, scivola via, scorre sulle mie crepe, sono una bambola rotta, mi sono spezzata, ma non potevo rimanere a terra; così ho ripreso i pezzi, con fatica, da sola, spettava solo a me farlo, un altro mi avrebbe ricomposta a modo suo, magari meglio, ma dovevo farlo io, ricompormi, capire come riallacciare i pezzi, come far combaciare le crepe.
Ho tutti i pezzi a posto, tranne uno, girata di schiena sono tutta intera, se mi guardo di schiena, nelle foto, sono ancora la persona che ero prima; vestita, di schiena, le crepe non si vedono, non si percepiscono, ci sono ugualmente ma non c’è il viso che le rende presenti.
Quando mi giro invece, sono maschera stanca, sono in frantumi, ricomposta.
Mi asciugo il volto, sorrido, ci sono, provo, quando sorrido le crepe aumentano.
Mi sono travestita, indosso il più innocente dei sorrisi, non posso fare altro, il dolore lo vivo io, gli altri sono stanchi, gli altri dopo che il tempo è passato vogliono vedermi di nuovo “normale, come prima”, che poi…normale non lo sarò più, non sarò più come prima.
Il tempo sarà anche passato per loro, ma io sono rimasta a quel momento, il momento in cui il mio mondo, la mia realtà, si son fatti frantumi.
Si dice che chi vivrà vedrà, solo chi vive queste situazioni, solo chi si è dovuto ricomporre, può davvero vedere, capire, comprendere il mio fardello, il mio dolore.
Non voglio annoiare gli altri, non voglio dare spettacolo mettendo in mostra le mie crepe, voglio solo potervi scivolare accanto, senza sentirmi inadeguata, in colpa per non essere riuscita a mettere da parte il dolore, per non essere riuscita a ricostruirmi meglio, ma non potevo fare altro.
Perché sono rotta?
Perché mi hanno portato via, in un attimo, un pezzo, scoprendo poi che quell’unico pezzo mi teneva insieme, prima ero forte, determinata, mamma, donna, ora sono una bambola rotta, mi manca un pezzo.
Mi hanno portato via un figlio.
L’hanno rotto, in frantumi, non più ricomposto.
Hanno deciso altri per me, hanno deciso che sarei dovuta essere un’altra donna, hanno deciso loro il ruolo che da quel giorno avrei ricoperto, hanno deciso loro come e quando diffondere ovunque le loro schegge.
Loro, hanno deciso che lui era scomodo, loro hanno deciso che lui non meritava di essere, di esistere, così l’hanno preso e me l’hanno ridato a pezzi.
Io sola ora lo difendo, io sola ora non mi arrendo, io sola ora dormo e vi guardo da lontano, io sola ho vissuto quello che hanno vissuto altri.
Penserete che quindi io non sia davvero sola, mi è spettato un destino che hanno affrontato anche altri, ma ognuno qui è solo col suo dolore, ognuno qui lotta da solo.
Ho paura, ma sorrido, sorrido a te uomo omertoso, sorrido perché mi sono ricomposta, tu invece hai solo la forma di uomo, per il resto, ti mancano tutti i pezzi.
L’omertà, una malattia che alcuni li lascia soli, altri, invece, indifferenti.
Il giostraio, pur non essendo un grande intenditore di musica, né conoscitore della storia personale di ogni singolo artista, vi propone un brano da ascoltare dopo la lettura.
N.B. la canzone, come sempre, è stata cercata e scelta dopo aver scritto il giro di giostra e non viceversa.
Fabrizio Moro – Pensa: