I suoi occhiali

<<È uscito questa mattina, un saluto, un bacio veloce, strano, solitamente non mi bacia mai.

<<Sono andata in bagno, ha lasciato gli occhiali sul piccolo e sottile ripiano, osservo la luce riflessa dentro, ma quanto sono spesse le sue lenti?

<<Per fortuna io non ne ho bisogno.

<<Non me ne ero accorta prima, avrà messo le lenti a contatto, certo, che stupida, questa sera dopo il lavoro andrà a cena con gli amici, per questo non ha gli occhiali…crede ancora che gli occhiali gli stiano male, è sempre stato vanitoso.

<<Io li adoro invece, è così bello guardarlo negli occhi attraverso lo schermo di luce che dentro alle lenti si riflette, lui è davvero lui solo con quel paio di occhiali sul naso…

<<Non lo vuole proprio capire, senza occhiali non è più lui, un altro ragazzo, un giorno lo convincerò che tutto il suo fascino è dentro quel paio di occhiali>>.

***

Il verde degli occhi cattura l’attenzione della cameriera del ristorante, “lo sapevo, senza occhiali sono più affascinante” pensa il ragazzo seduto al tavolo.

Chiacchiere leggere volano da una sedia all’altra.

Profumi squisiti passeggiano per il locale, cercano di farsi tentazione, di stuzzicare, di far aumentare la fame, il menù racconta della loro esistenza, ma i piatti si sanno ben presentare da soli.

Cin di bicchieri aprano il valzer della cena, il rito che si compie ogni giorno, che porta relax ad una giornata intensa, chiude dolcemente una giornata serena, ridona forza al corpo, ma cura anche la mente.

Per questo si esce, a cena, per questo si sfida il freddo, ci si arrotola in giacche pesanti, si fanno arrossire le guance, solo per potersi rilassare dopo, solo per mangiare il momento, per assaporare tutto, la cena al ristorante in compagnia non nutre il corpo, nutre l’anima.

Sono orchestra, se ci si spostasse un attimo all’angolo della sala, si chiudessero gli occhi, si respirasse il rumore, sarebbe orchestra, tutto, passi di cameriere stanche, tintinnio di bicchieri, coltelli e forchette che stridono sui piatti, non sono rumori, è musica, vita.

Luci gialle illuminano le vetrine del ristorante, il freddo chiuso fuori, il calore è dentro, un distratto passante li osserva, è un altro mondo, lui fuori all’inverno, loro altrove.

I secondi, i secondi, i secondi strillano, ululano contro una luna che non c’è, contro una quiete che non è più.

I profumi son fuggiti via, spezzate le vetrate, insieme al calore, sono scappati, triangoli appuntiti sparsi, la luce sobbalza, tutto brilla, tutto è scuro.

Restano i piatti, appena serviti, freddi, senza profumo, spenti.

Restano borse abbandonate che chiamano a gran voce la mano che fino a quel giorno le aveva cullate.

Restano.

Resta tutta la vita bloccata lì, nulla è come prima, nulla è così diverso, non si è capito, non si è capito ancora.

Restano, confusi.

Si toccano, si chiamano, ora il rumore, quel rumore, se ne è andato, quanto tempo è passato?

Non lo sanno, per alcuni il tempo non è passato, si è già fermato.

Trema la cameriera, piange lacrime non richieste, non comanda il corpo, non può decidere più nulla, guarda il verde degli occhi brillare fra lacrime spente, sente mani sudate che la stringono.

Impotente, assiste, stringe a sé quell’anima ignara che prima di andarsene gli lascia un grazie sul cuore.

Freddo, attorno è sempre più freddo, lui non la lascia, sarebbe potuto essere amore, sarebbe potuta essere ancora vita.

Ferito, di polvere coperto il corpo, sarà l’acqua a lavare via quello, non laverà mai il resto.

***

<<Sono corsa appena ho saputo, non dovevo, non era sicuro, non si poteva, ma il sangue mi ha chiamata, là c’era mio fratello, dovevo sapere, correvo e pensavo ai suoi occhiali, a casa, in attesa.

<<Il mio cuore invece non poteva aspettare doveva sapere, aveva bisogno, per respirare, doveva sapere.

<<Tutto era uguale terrore, tutto era confuso amore, l’amore che ti saltella dentro quando hai paura, quando non gliel’hai mai veramente detto, ti voglio bene.

<<Ti voglio bene, questo gli gridai contro, quando sporco, confuso e ferito lo vidi abbracciarsi da solo sul marciapiede, seduto.

<<Non era lui, senza gli occhiali non era lui, un altro ragazzo, ora non sarà più lui, neppure con indosso i suoi occhiali.

<<Grazie terrorismo, grazie, per avermi rivoltato la vita.

<<Non ti odio, mi fai pena>>.

***

Ecco il terrore, ecco cosa rovina, rovina la vita di persone impotenti, di persone ora cambiate; le notizie arrivano, ci prendono a schiaffi, restiamo sgomenti.

Ma, dopo tutto, per chi è lontano sono solo confusi momenti, angoscia sfiorata, per chi l’ha vissuto non sono momenti, sono costanti, non si torna indietro, ogni mattina loro lo sanno, pagheranno il conto.

Apprendiamo queste notizie senza capirle davvero, senza sapere come ci si possa sentire, augurandoci in fondo al cuore, nella parte più profonda del cuore, di non doverlo mai sapere, di non dovergli mai stringere la mano, di non veder mai innanzi a noi presentarsi il terrore.

A lei invece abbiamo stretto la mano, abbiamo fatto la sua conoscenza, anche da lontano, si è presentata, la paura.

ristorante-siria

Il giostraio, pur non essendo un grande intenditore di musica, né conoscitore della storia personale di ogni singolo artista, vi propone un brano da ascoltare dopo la lettura.
N.B. la canzone, come sempre, è stata cercata e scelta dopo aver scritto il giro di giostra e non viceversa.

Roberto Vecchioni – Ho conosciuto il dolore: